ARTROSI DELL'ANCA - COXARTROSI

Che cos'è l’artrosi dell’anca?

L’artrosi dell’anca, o coxartrosi, è la malattia che più comunemente colpisce l’anca dell'adulto. E’ una malattia cronico-degenerativa, in quanto provoca una disabilità crescente nell'arco di alcuni anni. Può essere grossolanamente definita una sorta di “usura” dei capi articolari: lo strato di cartilagine che riveste la testa del femore e la cavità acetabolare si assottiglia progressivamente fino ad esporre l’osso sottostante. Questo reagisce addensandosi e producendo escrescenze periferiche appuntite, gli osteofiti. Nelle fasi più avanzate, si può arrivare a deformità come anche semiflesse, rigide, ruotate all’esterno: la capsula articolare si ispessisce e i muscoli si retraggono.

 

Chi ne è colpito?

La coxartrosi è una patologia tipica dell’età avanzata (oltre i 60 anni) soprattutto nelle sue forme primarie (ovvero a causa ignota), che dimostrano peraltro una certa predilezione per il sesso maschile. Se si considerano le forme secondarie (cioè conseguenti ad una patologia pre-esistente), l’età media di insorgenza si abbassa (35-40 anni) e si osserva, almeno nel nostro paese, una prevalenza femminile legata alla forte incidenza della displasia dell'anca.

 

Quali sono le cause della malattia?

La coxartrosi primitiva è una condizione di cui non è nota la causa determinante, anche se sono noti fattori predisponenti come il peso corporeo eccessivo o sovraccarichi funzionali da attività lavorative pesanti. La coxartrosi secondaria dipende quasi sempre da disordini locali (esiti di frattura, necrosi avascolare della testadisplasia dell'anca, impingement femoro-acetabolare, esiti di malattia di Perthes, malattia di Paget…) e raramente da disordini sistemici (morbo di Cushing, assunzione protratta di corticosteroidi, malattie dismetaboliche).  

 

Come si manifesta?

Il paziente presenta un dolore tipico (coxalgia) localizzato in sede inguinale e talvolta in sede glutea. E’ frequente l’irradiazione del dolore lungo la coscia, anteriormente, fino al ginocchio. Poiché l'origine del dolore è essenzialmente meccanica, questo è provocato dalla deambulazione e dal movimento articolare in genere, mentre viene alleviato dal riposo. Il dolore indotto dal carico determina claudicazione o zoppia di fuga: il paziente tende a caricare poco sull'arto dolente, accorciando la fase di appoggio sul piede corrispondente. Un altro disturbo tipico e piuttosto invalidante è la rigidità, ovvero la limitazione del movimento. Poiché in genere il primo movimento che viene compromesso è la flessione, le affezioni dell’anca rendono difficoltoso indossare calze e scarpe. Negli stadi più avanzati la consunzione del rivestimento cartilagineo dei capi articolari può generare accorciamenti significativi dell'arto interessato, fino ad oltre 1 centimetro.

 

Quali esami sono utili?

La diagnosi di coxartrosi (e soprattutto la sua classificazione) è squisitamente radiologica. E’ sufficiente una radiografia nelle due proiezioni standard (anteroposteriore di bacino e assiale d’anca) per evidenziare i quattro segni radiologici fondamentali dell’artrosi: riduzione della rima articolare, addensamento dell’osso subcondrale, geodi (ovvero cavitazioni dell’osso) e osteofiti.

 

Come si cura?

Il trattamento più efficace è chirurgico ed è rappresentato dalla protesi d’anca, che costituisce l'unica reale soluzione nelle forme avanzate, caratterizzate da una riduzione della qualità della vita e dall’uso frequente di analgesici. La terapia farmacologica (antiinfiammatori e antidolorifici) è essenzialmente palliativa e dovrebbe essere impiegata, in modo possibilmente ciclico e non continuativo, per alleviare i disturbi nel paziente non candidato alla protesizzazione (perché ancora poco sintomatico o perché inoperabile). Le terapie infiltrative, note come viscosupplementazione, se eseguite con acido jaluronico, sono indicate solo in casi selezionati e sono di competenza strettamente specialistica. L'esecuzione di tali procedure richiede infatti uno strumento di "mira", solitamente rappresentato da un ecografo. Data la profondità dell’articolazione coxo-femorale, le comuniterapie fisiche (laser, ultrasuoni, elettroforesi…) risultano in genere poco efficaci; mentre non vi sono ancora studi adeguati che confermino l’effetto benefico nel rallentare la degenerazione del tessuto cartilagineo di alcuni integratori dedicati, detti comunemente condroprotettori (preparati a base di glucosamina, condroitin solfato e composti analoghi). Nei soggetti obesi il calo ponderale ottiene grandi benefici e può prevedibilmente rallentare l’evoluzione del danno articolare, mentre un moderato esercizio fisico in assenza di carico (nuoto, bicicletta) permette di conservare più a lungo la mobilità e il trofismo muscolare, ritardando la comparsa di rigidità. Ovviamente le attività fisiche in carico, come il jogging, e tutti gli sport di contatto sono da evitare, poiché potrebbero accelerare la progressione del danno cartilagineo.

 

Che cos'è la protesi d'anca?

L’artroprotesi d’anca (o protesi totale d’anca) è un’articolazione artificiale realizzata in leghe metalliche, materiali plastici e/o ceramiche, che sostituisce l’anca ammalata, eliminando la fonte del dolore in modo efficace e permanente. La protesi d’anca è costituita da una coppa e da uno stelo, che vengono inseriti rispettivamente nell’acetabolo e nel femore. Sullo stelo viene assemblata una testa protesica, in metallo o ceramica, che si articolerà con la superficie interna della coppa. La fissazione delle componenti, un tempo sempre demandata al cemento acrilico, è oggi più spesso biologica, ossia affidata alla penetrazione dell'osso nella superficie porosa degli elementi. E' la cosiddetta protesi non cementata. In casi particolari, come l’osteoporosi grave, la protesi cementatacostituisce ancor oggi la soluzione più sicura.

 

Quando è indicato l'intervento?

La sostituzione protesica dell'anca è indicata in tutte le coxartrosi, primarie e secondarie (cioè conseguenti a displasia, conflitto femoro-acetabolare, postumi di frattura...), nel momento in cui la sintomatologia non sia più controllabile con le cure mediche e fisioterapiche. Anche le artriti non settiche (artrite reumatoide, spondilite anchilosante, artrite psoriasica...) possono richiedere un intervento protesico, quando l'articolazione sia stata irreversibilmente danneggiata. La protesi è inoltre indicata negli stadi più avanzati della necrosi cefalica, quando non è più possibile ricorrere agli interventi di salvataggio della testa femorale. La protesi d'anca può essere infine impiantata anche su frattura del collo femorale. In questo caso, se il cotile non è artrosico e il paziente è molto anziano, una protesi parziale (solo femorale) è preferibile, perché può essere posizionata attraverso un intervento meno invasivo.

 

Com'è il decorso postoperatorio?

Dopo l'intervento, il paziente rimane ricoverato nel reparto chirurgico 5-7 gg (a seconda dell'età, delle malattie coesistenti, della capacità di seguire il programma riabilitativo…). La deambulazione inizia in genere il giorno dopo l’intervento, con l'ausilio di deambulatore. In presenza di un decorso regolare, dopo 6-8 settimane, il paziente può tornare ad una vita normale.

 

Si può fare sport con una protesi d'anca?

Ritornare alla normalità significa, ovviamente, anche ripristinare quelle attività che contribuiscono alla qualità di vita. Per i pazienti più giovani, lo sport è sicuramente tra queste, ma in questo campo è necessario fare delle precisazioni. Innanzitutto la pratica sportiva richiede un completo recupero della funzione e della stabilità articolari, traguardi che difficilmente vengono raggiunti prima di 3 mesi dall'intervento.La protesi d'anca, poi, eliminando il dolore, si presta ad incentivare il paziente a riprendere le attività sportive che aveva da tempo interrotto. La mancanza di dolore durante una corsa, però, non significa che questa non sia potenzialmente dannosa per l'impianto protesico. In effetti tutti gli sport che comportano la corsa o il salto (jogging, volley, basket, calcio...) determinano violenti e ripetuti impatti della testa protesica nella coppa, con conseguente incremento dell'usura. Sono dunque sport assolutamente sconsigliati. Un'ulteriore considerazione meritano gli sport a rischio di trauma, perchè eseguiti in velocità (sci alpino, ciclismo) o a distanza da terra (equitazione). Il paziente che vi si cimenti deve ricordare che un incidente, magari provocato da terzi, può avere gravi ripercussioni sulla propria protesi. In conclusione gli sport ai pazienti protesizzati non sono vietati, purchè siano praticati ad un livello ludico-ricreativo e siano intrapresi con discernimento, privilegiando quelle attività (come il nuoto, il golf, la ginnastica) che incidono poco o nulla sull'usura dell'impianto e non espongono a situazioni pericolose.

 

Quanto dura una protesi d'anca?

Le protesi attualmente disponibili hanno una sopravvivenza media di circa 20 anni, ma la variabilità individuale è grandissima, in ragione del peso corporeo e del livello di attività fisica (per un paziente giovane, attivo e sovrappeso il rischio di andare incontro ad un intervento di riprotesizzazione è concreto). 

 

 

 

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